Itinerari Archeologici Ustica
Itinerari Archeologici Ustica, una grande storia millenaria riconducibile all’Età del Bronzo. Per ripercorrere le tracce del suo passato affascinante, vi consigliamo di non perdervi la visita ai suoi numerosi siti archeologici sparsi sul territorio, affidandovi a guide esperte locali che vi faranno scoprire l’importanza nei secoli di questa piccola isola del Tirreno.
Storia Archeologica
Ustica fu abitata fin dall’Età neolitica, come dimostrano i pochi frammenti di ceramica a decorazione incisa e impressa o a superficie monocroma rossa (Stile di Diana), rinvenuti in anni recenti in una piccola area della località Spalmatore. Per le epoche successive, invece, le attestazioni si fanno più ampie e significative: ad Età eneolitica (IV-III millennio a.C.) risalgono, infatti, i frammenti di ollette, bicchieri e scodelle d’impasto decorate a incisione rinvenuti all’interno della Grotta Azzurra. Anche nella vicina Grotta di S.Francesco, raggiungibile sia dal mare che da terra e anch’essa caratterizzata dalla presenza delle conche per la raccolta delle acque di stillicidio, sono stati rinvenuti pochi frammenti di ceramiche dell’eneolitico medio. Un villaggio dell’eneolitico medio sembra essere sorto, inoltre, nella parte sud-orientale dell’isola, in località Piano dei Cardoni, come dimostrano pochi frammenti di ceramiche; l’abitato visse, probabilmente, continuativamente fino alla Media Età del Bronzo e, successivamente, conobbe una ripresa della vita in età tardo-romana.
Durante l’Antica Età del Bronzo venne, invece, occupata la sommità della Culunnedda, una sorta di terrazza da cui si gode una visuale a 360°: sul pianoro erano forse disseminate le capanne, indiziate solo dalla presenza sul terreno di frammenti d’impasto. Particolarmente intensa si è rivelata l’occupazione dell’isola nella Media Età del Bronzo, tra il XIV ed il XIII secolo a.C., periodo in cui Ustica dovette probabilmente trovarsi inserita nelle vivaci rotte commerciali tirreniche che interessavano, in quel periodo, la costa settentrionale della Sicilia e le Isole Eolie. Tracce consistenti di insediamenti, documentati attraverso la dispersione superficiale della tipica ceramica d’impasto, si hanno nella zona nord-orientale e, in particolare, in località Punta dell’Omo Morto e Case Vecchie, ma anche nella parte sud occidentale dell’isola, nell’area del Villaggio dello Spalmatore.
Per quel periodo, tuttavia, l’evidenza più significativa è certamente quella di Contrada Tramontana dove, proprio su un’alta cuspide affacciata sul mare, sorge il Villaggio dei Faraglioni, così chiamato dal faraglione del Colombaro che si staglia, solitario, proprio dinnanzi alle strutture archeologiche. La fine improvvisa e l’abbandono repentino del villaggio di capanne di contrada Tramontana segnarono, per Ustica un periodo di lungo abbandono fino al III sec.a.C., risale infatti a quell’epoca la rioccupazione del sito, forse in concomitanza con gli avvenimenti della prima guerra punica: un consistente insediamento venne fondato sulla Rocca della Falconiera. Altri insediamenti rurali di età tardo romana e bizantina sono documentati, attraverso la ceramica dispersa in superficie, nella piana di Tramontana, a monte del Gorgo Salato e a Passo della Madonna e, soprattutto, in Contrada Spalmatore, nella parte occidentale dell’isola, dove sono stati anche rintracciati i resti di una modesta necropoli costituita da una trentina di tombe a fossa associate a frammenti di ceramica del V-VI sec.a.C. Anche il versante meridionale dell’isola è interessato dalla presenza di fattorie e piccoli nuclei di tombe, testimoniati sia in Contrada Oliastrello che in località Mulino a Vento così come una modesta necropoli di tombe a fossa e una sepoltura a camera ipogeica si sviluppano in Contrada S.Maria, proprio a monte dell’attuale centro abitato.
Il Villaggio Preistorico dei Faraglioni
Il villaggio fortificato dei Faraglioni della Media Età del Bronzo (1400-1200 a.C.), scoperto da Giovanni Mannino nel 1970, è ubicato sul margine nord della costa di Tramontana, di fronte al faraglione della Colombara.
È esteso 7000 mq. ma doveva essere ancor più ampio essendosi rinvenute tracce di capanne sul faraglione. Il cedimento di parte della costa è il probabile motivo dell’abbandono repentino dei suoi abitanti, che giustifica la ricchezza dei reperti che vi si rinvengono e che ne fanno uno dei monumenti più significativi del Mediterraneo per il medio bronzo. Inaccessibile dal mare per l’alta falesia sul lato interno era difeso da un alto muro. Gli scavi condotti tra il 1974 e il 2008 hanno portato alla luce numerose capanne di forma circolare o quadrate, alcune con atrio scoperto attrezzato e magazzino, edificate lungo un sistema viario preordinato.
Il copiosissimo materiale restituito dagli scavi è esposto nei suoi esemplari più significati in due padiglioni del Museo Archeologico Comunale intitolato a “Padre Carmelo Seminara da Ganci”, frate francescano sull’isola per più di cinquant’anni, e precursore attivo delle scoperte archeologiche ad Ustica insieme all’archeologo palermitano Giovanni Mannino. Il Villaggio preistorico è raggiungibile da due strade, arrivati al trivio dopo il Comune, potete prendere la strada perimetrale per Tramontana, ed arrivati circa a metà di questo lungo rettilineo troverete una strada in pietra che vi porterà direttamente al sito. Oppure la strada per il cimitero e arrivando ai Faraglioni troverete l’ingresso per il villaggio.
Percorso Archeologico della Falconiera
Il percorso archeologico della Falconiera, che comprende, oltre alla Rocca, anche la Necropoli e il fortino del Rivellino, si raggiunge facilmente dal paese. A destra della chiesa vi è la via Calvario, in fondo a sinistra parte il sentiero per la rocca. Oppure, uscendo dal paese, subito dopo il comune, al trivio, prendere la strada a destra e dopo cinquanta metri troverete la strada in pietra che porta al villaggio della Falconiera.
La Rocca della Falconiera
Posto a dominio della Cala di Santa Maria, approdo naturale dell’isola, il promontorio della Falconiera, residuo di un originario cono vulcanico, si eleva per m. 157 sul livello del mare, con pareti precipiti sul versante orientale, e più lievi pendi sui versanti settentrionale – adibito a colture tradizionali – meridionale ed occidentale, parzialmente rimboschiti. La parte sommitale, su cui si adagiò l’abitato di età ellenistica, ha subito forti fenomeni di dilavamento che hanno portato all’affioramento della tipica roccia tufacea che caratterizza il rilievo.
La spianata oggi visibile e la sistemazione a terrazze si devono all’intervento umano e si resero necessarie sia per la costruzione dell’abitato antico che per la coltivazione degli scoscesi terreni. La necessità di costruire un insediamento proprio in quella posizione, così arroccata e così esposta a venti ed intemperie, dovette nascere da gravi esigenze di difesa e dalla possibilità di controllo del più importante approdo naturale, la Cala di Santa Maria, ancora oggi principale porto dell’isola. L’abitato venne costruito su tre terrazzamenti artificiali, le case in parte ricavate nel banco di roccia naturale; degli ambienti sono oggi visibili le semplici tracce nella roccia e alcuni lembi di pavimento in cocciopesto o a mosaico di tessere bianche, e scale intagliate nella roccia che collegavano i vari livelli di abitazioni. Numerose cisterne scavate nella roccia e rivestite in cocciopesto garantivano la possibilità di approvvigionamento idrico.
Lo svuotamento di alcune di esse consentì il recupero di una rilevantissima quantità di materiale archeologico anche di eccellente qualità. Tra i reperti più significativi, per la maggior parte databili tra il III sec.a.C. ed il I sec.d.C., si segnalano numerosi frammenti di intonaci parietali caratterizzati da una vivace policromia e di cornici in stucco, abbondante vasellame da mensa e da trasporto, anfore, unguentari, frammenti di pavimenti in cocciopesto o di tessellato bianco, monili di bronzo e monete. La costruzione delle opere di fortificazione di età borbonica, recentemente restaurate e ospitanti il Museo Vulcanologico, e originariamente costruite con conci estratti dalle antiche costruzioni, danneggiò in maniera irreversibile buona parte del centro abitato, di cui si è preservata in migliori condizioni la zona nord-orientale. La Rocca della Falconiera è uno dei punti maggiormente panoramici dell’Isola di Ustica, da dove è possibile ammirare il porto, il paesino e buona parte dell’isola, oltre a dei magnifici tramonti. Un luogo che regala suggestioni davvero uniche.
Necropoli della Falconiera
Collegata all’insediamento di età ellenistico-romana è poi la necropoli individuata nel versante occidentale della Falconiera: il ritrovamento di una tomba in occasione della costruzione di un serbatoio idrico nei pressi del Calvario, alla fine dell’ottocento, di cui si conserva memoria nei documenti d’archivio, nonché la scoperta casuale di una sepoltura in Contrada Petriera, alle pendici della Falconiera, suggerirono l’opportunità, nel 1980, di effettuare indagini archeologiche nell’area indiziata dai rinvenimenti. Furono portate alla luce numerose sepolture, alcune delle quali violate in antico, di una tipologia assai rara tra le necropoli coeve siciliane.
Si tratta di tombe a fossa scavate nella roccia e caratterizzate da una sorta di gradino che portava ad altra e più profonda fossa, parallela alla prima e ingrottata rispetto ad essa, chiusa, quest’ultima, da un lastrone, entro cui veniva deposto l’inumato. La presenza di anfore con resti ossei, adagiate nei pressi della testa di alcuni inumati, documenta un riutilizzo delle sepolture nel corso dei secoli, attestato tra l’altro dai corredi inquadrabili tra il III sec.a.C. ed il I-II sec.d.C. L’intensa frequentazione dell’isola in età tardo romana e bizantina è documentata, oltre che dalla serie di villaggi sparsi sull’intera isola, anche da un’ampia e densa necropoli localizzata sul versante sud occidentale della Falconiera, parzialmente distrutta sia per cause naturali che per l’azione dell’uomo che, nel passato, ha cavato la tenera roccia tufacea per trasformarla in sabbia da utilizzare per l’attività edilizia.
Si tratta di semplici fosse scavate nella roccia, varie per dimensioni e accuratezza del taglio, all’interno delle quali furono raccolti dal Pigonati, alla metà del settecento, materiali riferibili alla tarda età imperiale. Della necropoli facevano parte anche alcune tombe ipogeiche, concentrate sul lato meridionale del versante, si tratta di camere di forma pressoché quadrata o irregolarmente ellittica, scavate nella roccia. Le deposizioni erano contenute entro fosse scavate nel pavimento o in loculi ricavati nelle pareti oppure entro sarcofagi posti all’interno di arcosoli.
Fortino del Rivellino
Salendo lungo il costone, poco prima della Rocca della Falconiera, troviamo il fortino Rivellino di San Giuseppe, costruito dai Borboni come avamposto della fortezza della Falconiera nel 1804. Fu abitato dal Comandante Di Bartolo, poi dai tedeschi nell’ultima guerra e, dopo un periodo di abbandono, venne restaurato. Composto da due piccoli edifici e da un terrazzo che gira attorno all’edificio centrale, con un muto di cinta tutt’attorno. Posto in posizione strategica e privilegiata dal quale godere di una splendida vista panoramica sulla Tramontana, su Cala Giacone e sul parco suburbano, con fantastici tramonti e mare infinito.
Museo Archeologico di Ustica
Nei cameroni di Largo Gran Guardia detti “U Fossu” di Ustica si trova una piccola ma significativa esposizione dei reperti archeologici rinvenuti sull’isola. L’esposizione comprende i reperti provenienti dal Villaggio preistorico dei Faraglioni, databili alla Media Età del Bronzo, con una significativa campionatura dell’abbondante vasellame che costituiva l’arredo mobile delle capanne riportate alla luce e per lo più legate alle attività domestiche e alla vita quotidiana che si svolsero nel villaggio per circa due secoli (1400-1200 a.C.),
Tra i prodotti più caratteristici ricordiamo le piastre fittili quadripartite dalle dimensioni più varie, e i cosiddetti “alari”, un particolare tipo di vaso a cui è stata alternativamente attribuita funzione votiva o utilizzazione pratica, sempre in relazione alla preparazione e cottura dei cibi.
Ancora allo stesso scopo dovevano servire le grandi teglie a fondo piano a basso bordo verticale, olle a fondo convesso o semplici vasi di impasto grossolano e refrattario, completano il “servizio” da cucina, mentre più vario è il repertorio dei vasi utilizzati per il consumo dei pasti: il più caratteristico e diffuso nel villaggio dei Faraglioni è la scodella su alto piede a tromba. E poi ancora le scodelle, le tazze, le ciotole, gli attingitoi, i boccali, orci e gli orcioli, mortai, pestelli e macinelli, numerose fuseruole per la pratica della filatura e tessitura e pesi da reti, rondelle di metallo per la contabilità, e forme da fusione per la lavorazione del metallo.
Altri reperti invece si riferiscono ai più recenti periodi di vita documentati sull’isola e attestati sia attraverso i recuperi sottomarini che grazie alle indagini archeologiche condotte sul promontorio della Falconiera. Dal carico di navi naufragate provengono anfore e servizi da mensa costituiti da coppe, patere e piatti acromi o a vernice nera. Ci sono poi i ceppi d’ancora in piombo o gli altri elementi connessi al sistema di ancoraggio nonché alcune macine di pietra utilizzate sulle imbarcazioni per la molitura di cereali o come zavorra.
Significativi, infine, i reperti di età ellenistico-romana provenienti dalla Falconiera e recuperati, per lo più, all’interno delle profonde e numerose cisterne rinvenute sulla sua cresta: si tratta, soprattutto, di vasellame da mensa e da cucina, anfore e lucerne. Inoltre frammenti di pavimento a mosaico, di cornici a stucco o di intonaci parietali, di cui è esposta una piccola selezione, che documentano, infine, una certa ricchezza ed un elevato tenore di vita del centro abitato di età ellenistica, a testimonianza di circuiti commerciali soprattutto tra l’Africa e l’Italia centrale.
Necropoli della Culunnedda
La necropoli della Culunnedda è situata nella parte mediana della dorsale Est-Nord-Est dell’omonimo pizzo (m.238), che dalla vetta scende al Passo Don Bartolo (m.159) e più giù sino alla Petriera, area di sviluppo dell’abitato di Ustica. Si raggiunge salendo per la comoda stradella gradinata che si snoda, prima per il bosco e poi, appena superato l’ultimo tornante, a sud della pineta.
Imboccato il rettilineo gradinato, dopo un centinaio di metri, si abbandona la stradella e si prosegue per altrettanti metri a sinistra sulla stessa linea per campi in cui la roccia affiora in banchi giallognoli (lapilli e cenere) e vi crescono sterpi di lentisco e ginestra. Una serie di muretti, per la maggior parte diroccati, testimoniano che un tempo quei campi erano coltivati; anziani contadini ricordano che ciò avveniva fino all’inizio degli anni ’60. Le tombe individuate sono quattro: tre sono addossate l’una all’altra; la quarta si trova una cinquantina di metri sulla sinistra di chi sale il pendio. Quest’ultima venne individuata con facilità perché affiorava dal terreno una lastra di tufo dorato, estraneo al sito e infissa verticalmente. Non mancano indizi abbastanza consistenti per poter pensare ad uno sviluppo maggiore dell’area della necropoli: si osservano immediatamente a nord della triade di sepolture tratti di vegetazione particolarmente rigogliosa certamente perché le radici, di lentisco e di ginestra, affondano nell’humus, raccoltosi nel vacuo di altre celle. Poco più su della quarta tomba, all’altezza di un gradino del pendio, una cinquantina di metri sulla sinistra, si osserva un ingrottato o piuttosto una fessura, larga quasi un paio di metri ed alta una ventina di centimetri, che fa pensare alla volta di una cella in parte franata. A sinistra dalle tre tombe, percorsi un centinaio di metri e più su di circa venti metri, ai piedi di un muro di terrazzamento alto un paio di metri, si osserva un’altra fessura; poco più ampia di quella sopra descritta ma non sufficientemente ampia per potervi penetrare, probabilmente una vecchia cava di pietrisco e sabbia.
Il nome Culunnedda, rimasto nella memoria dei più anziani, deriva dalla presenza di una colonnina geodetica di cui non resta più alcuna traccia. La sommità del rilievo si presenta spianata, certamente artificialmente, e delimitata tutt’intorno da grossi massi; molto evidente un allineamento piuttosto rettilineo con andamento Nord Ovest-Sud Est. Sono opere che non trovano nessuna giustificazione sotto l’aspetto dello sfruttamento agricolo dell’area e trovano invece spiegazione ove si pensi ad opere di difesa o piuttosto ai resti di una fortificazione dell’altura per arroccarvi un piccolo insediamento.
L’Archeologia Subacquea ad Ustica
La storia di Ustica è naturalmente e indissolubilmente legata al mare, è logico, pertanto, che l’isola si sia ritrovata in posizione non secondaria rispetto alle rotte commerciali del Mediterraneo e del Tirreno che si caratterizzarono soprattutto per gli intensi rapporti tra la costa settentrionale dell’Africa e la costa tirrenica della penisola. Ne consegue una particolare ricchezza dei fondali di Ustica che nascondono una serie notevole di relitti, soprattutto nelle zone di più facile e agevole attracco, quelle cioè della Cala di S.Maria e delle sue immediate vicinanze.
La tendenza di conservare in situ le testimonianze più significative del passaggio di genti e merci, ha trovato un esemplare e precoce esemplificazione nel 1990 con la realizzazione di un itinerario archeologico subacqueo nella zona di Punta Cavazzi, dove è stato creato un apposito percorso, adeguatamente segnalato e spiegato attraverso pannelli didattici, accanto agli oggetti lasciati nella loro originaria giacitura: si tratta di ceppi d’ancora e di materiali ceramici riferibili a diverse epoche che sottolineano, nella loro eterogeneità tipologica e cronologica, la ricchezza e l’interesse dei fondali usticesi.
Diventerà un museo sott’acqua a Ustica la nave romana scoperta casualmente nel giugno del 2019 quando venne individuato un cumulo di anfore a 70 metri di profondità dalla costa e, poco distante il relitto di una nave. A duecento metri dalla costa, a 80 metri di profondità, gli esperti della soprintendenza – oggi guidata da Valeria Livigni moglie di Sebastiano Tusa, hanno avviato la documentazione e il rilievo 3D del relitto profondo di Ustica. Il relitto venne individuato in occasione del posizionamento, nell’itinerario della Falconiera, del Cuore di Sebastiano, un’opera realizzata dallo scultore Rizzo, per ricordare la passione che Sebastiano Tusa ha sempre dedicato al suo mare. In quell’occasione l’altofondalista Riccardo Cingillo, in ricognizione con un batiscafo, individuò il relitto ed è oggi lui a guidare gli altofondalisti sicilani nella campagna di indagini strumentali e visive, avviate dopo l’analisi propedeutica del materiale video.
Nell’estate del 2021, in collaborazione con numerosi esperti internazionali, è stata realizzata la documentazione videofotografica a 360 gradi, i rilievi in 3D del relitto e sono stati installati idrofoni subacquei in collaborazione con il Cnr di Capo Granitola: tutte le operazioni sono state coordinate dal soprintendente del Mare e dal nucleo subacqueo della Soprintendenza del mare, documentando il primo relitto romano integro trovato a Ustica a 80 metri e che verrà musealizzato in situ. Sono state recuperate delle anfore per attribuire una datazione certa al relitto della nave romana. Preziosa la collaborazione del diving Marenostrum e del Comune di Ustica che ha fornito la massima ospitalità e il supporto logistico.
Museo Vulcanologico di Ustica
Nella location suggestiva della Rocca della Falconiera è nato il Laboratorio Museo di Scienze della Terra, per iniziativa del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, ed è stato istituito grazie a un protocollo d’intesa tra il Comune di Ustica e l’INGV. È una istituzione culturale e scientifica molto attiva nei campi della divulgazione delle Scienze della Terra, della didattica e della ricerca, operativa dal 2015. Grazie a Franco Foresta Martin è nato “Ustica prima dell’Uomo”, un progetto messo a punto con l’obiettivo di trasferire agli studenti la consapevolezza del valore naturalistico della loro isola.
I ragazzi dell’Istituto scolastico comprensivo di Ustica hanno ricostruito, attraverso una ventina di poster, la nascita e l’evoluzione dell’isola da circa un milione di anni fa, quando cominciò a edificarsi come monte vulcanico sottomarino sul fondo del Tirreno Meridionale. I pannelli vennero successivamente riprodotti “in bella copia” dal Laboratorio Grafica e Immagini dell’INGV che li donò al Museo, dove sono in allestimento permanente. Sono presenti nella mostra anche numerose vulcaniti, vari prodotti vulcanici formati sott’acqua e una malacofauna tipica dei mari equatoriali. Il percorso della mostra continua con una piramide olografica al cui interno si compongono le immagini tridimensionali di differenti eruzioni. È possibile poi osservare un modello in scala 1:10 del primo laboratorio abissale sottomarino, il Geostar, realizzato dall’INGV circa venti anni fa in collaborazione con altri enti e istituzioni e calato a largo di Ustica.
Il Laboratorio Museo è nato con l’obiettivo di essere un punto di riferimento non solo per i visitatori comuni e i numerosi studenti che ogni anno arrivano, in gita scolastica da tutta Italia, ma anche per laureandi e studiosi che si recano a Ustica al fine di sviluppare le loro ricerche. Ustica è un vulcano spento, estinto da più di centomila anni e offre, come tutte le isole vulcaniche, una ricchezza straordinaria di strutture come cuscini di lava, relitti di antichi crateri, dicchi, direttamente osservabili in condizioni di totale sicurezza. Questa istituzione intende anche promuovere nuove ricerche nel campo delle Scienze della Terra, richiamando geologi e vulcanologi da tutta Italia, con l’intento di valorizzare gli aspetti, spesso esclusivi, dell’Isola.
Le Garitte Antiche di Ustica
L’Isola di Ustica nel 1800 si difendeva dai corsari barbareschi attraverso un sistema difensivo costiero costituito da due torri di avvistamento, Santa Maria a levante e Spalmatore a ponente, ognuna con due cisterne dentro e tre pezzi di artiglieria da 12, un fortino nella cala, con due pezzi da 18, un forte sulla cima della Falconiera, con quattro cannoni, due da 12 e due da 6, a poca distanza il Rivellino di San Giuseppe con due cannoni, e 11 garitte disposte su tutto il periplo dell’isola, distanti l’una dall’altra per quanto con facilità possa sentire la voce, nel caso in cui si vedano legni sospetti.
Le Torri Borboniche di Ustica
Le Torri Borboniche di Ustica facevano parte del sistema di avviso delle Torri Costiere della Sicilia. La Torre Santa Maria fu costruita a partire dal 1759 su ordine del re Carlo III di Borbone su disegno di Andrea Pigonati, che trovò necessario che fosse costruita anche la Torre dello Spalmatore. L’ingegnere militare Giuseppe Valenzuola nel corso della sua ricognizione per predisporre la prima carta topografica dell’isola, convenne con tale valutazione raccomandando una corrispondenza con il vecchio Forte della Falconiera. Nel 1762 i lavori non erano neppure iniziati, la popolazione da poco insediata venne rapita dai corsari barbareschi, quindi nel 1763 ad opera dell’ingegnere Sgarbi la torre fu edificata con pietre informi, ma con i cantoni in dura pietra lavica e a forma di piramidale tronca. Il Valenzuola ebbe comunque modo di controllarne i lavori e progettò urbanisticamente il nuovo centro abitato di Ustica. Gli spazi interni sono articolati da un corridoio centrale da cui si diramano quattro ambienti di varia grandezza con volta a botte, uguale al primo piano. Nel 1885 era ancora attiva come carcere, nel 1965 il carcere fu dismesso, e la torre passò di proprietà al Comune di Ustica, e nel 1994 si effettuarono consistenti restauri. Divenne Museo Archeologico prima, e Museo del Mare dopo, fino a qualche anno fa, oggi è in attesa di destinazione.
La Torre dello Spalmatore, ubicata sulla punta Ovest dell’isola, in località omonima, è una costruzione borbonica del 1763. Torre di guardia, gemella e coeva della Torre Santa Maria, restaurata nel 1996, fino a qualche anno fa è stata sede dell’Area Marina Protetta, che ospitava un Centro studi e ricerche, una biblioteca e una sala congressi. La Torre offre spazio per lavoro di ufficio, piccoli convegni, riunioni, e mostre. Vi si svolgevano attività a scopo informativo e didattico, eventi culturali, incontri con le scolaresche, proiezioni, e allestimento di mostre ed esposizioni. Oggi è in attesa di restauro.
Il Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica
Il Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, attivo in mostre, ricerche, progetti didattici, rivista letteraria, libri, conferenze, visite guidate e tanto altro nel segno di Ustica. Il Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, costituito nel 1997, è un’associazione di volontariato che organizza eventi culturali incentrati sull’isola di Ustica con approfondimenti della conoscenza del suo patrimonio naturalistico e culturale. Studi approfonditi sulla storia dell’isola vi faranno scoprire pagine di straordinario interesse perché collegate alla storia più vasta dell’Italia. L’isola, infatti, è stata per due secoli sede di confino e, per questo, crocevia di tutti gli eventi sociali e storici che hanno attraversato la travagliata storia della nazione: dai moti risorgimentali, alle lotte anarchiche, all’antifascismo. I locali dell’ex Settebello ospitano le mostre e le attività del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica.
TEMPO LIBERO
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